Possono essere gli smart siti luoghi d’identità dell’uomo? Ormai i variegati approcci di sostenibilità, a volte contradditori, risultano insoddisfacenti nel governare la realtà costruita la quale evidenzia le profonde ferite lasciate dai comportamenti non virtuosi delle passate generazioni. 

 

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L’MIT ha allo studio una tecnologia capace di migliorare di 100 volte l’efficienza dei comuni
pannelli.
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Dossier

Vulcano

di Maria Grazia Capra
Il vulcano è il rilievo formato dalle masse di rocce ignee, cioè quelle rocce che derivano da un magma (o roccia fusa) risalito dall'interno della Terra e solidificato a contatto con l'ambiente esterno. In generale sono vulcani tutte le discontinuità nella crosta terrestre attraverso le quali, con manifestazioni varie, si fanno strada i prodotti dell'attività magmatica endogena: polveri, gas, vapori e materiali fusi solidi. La fuoriuscita di materiale è detta eruzione e i materiali eruttati sono lava, cenere, lapilli, gas, scorie varie e vapore acqueo.
Ciò che è comunemente chiamato vulcano, nella terminologia tecnica è definito edificio vulcanico o cono vulcanico, ma siccome il termine più usato è vulcano, l'edificio vulcanico molto spesso è chiamato così anche in geologia.
I vulcani testimoniano l'esistenza, nelle zone profonde della litosfera, di masse fuse silicatiche naturali dette magmi.
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Vulcano Naubiotum, Kenya (fonte: www.nationalgeographic.it)

Un generico vulcano è formato da:
- una camera magmatica, alimentata dal magma; quando questa si svuota in seguito ad un'eruzione, il vulcano può collassare e dar vita ad una caldera. Le camere magmatiche si trovano tra i 10 e i 50 km di profondità nella litosfera.
- un condotto principale, luogo di transito del magma dalla camera magmatica verso la superficie.
- un cratere sommitale, dove sgorga il condotto principale.
- uno o più condotti secondari, i quali, sgorgando dai fianchi del vulcano o dalla stessa base, danno vita a dei coni secondari.
- delle fessure laterali, fratture longitudinali sul fianco del vulcano, provocate dalla pressione del magma. Esse permettono la fuoriuscita di lava sotto forma di eruzione fessurale.
Per la loro grandiosità di manifestazione, erano oggetto di studio fin dall'antichità. Platone ammetteva l'esistenza di un fiume sotterraneo di fuoco, il Piroflegetonte, che nel vulcano trovava uno sfogo. Seneca indicava quale causa di eruzioni e terremoti, la penetrazione dell'acqua nel sottosuolo, quando l'acqua raggiungeva la materia incandescente, liberava vapore a forte tensione. Nel 79 d.C., Plinio il Giovane descrive l'eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei, Ercolano e Stabia in cui perse la vita lo zio Plinio il Vecchio. Ma la vera scienza che studia i vulcani, la vulcanologia, nasce solo nel XVII secolo, quando i naturalisti si interessarono alle eruzioni del Vesuvio (1631) e dell'Etna (1669).
La scienza ottiene progressi decisivi con gli studi di Spallanzani e quindi nel XIX secolo, con l'aiuto della petrografia. L'origine dei vulcani viene spiegata con varie teorie, di cui due importanti e opposte fra loro:
- la teoria dei crateri di sollevamento di De Buch
- la teoria dell'accumulazione esterna di Scrope e Spallanzani.
Nella teoria di De Buch, i vulcani sarebbero originati dal magma che solleverebbe gli strati esterni della terra formando dei coni, che poi si romperebbero in alto formando i crateri. Nella seconda teoria, i vulcani sarebbero dovuti ad accumulo di materiale solido emessi o proiettati dal condotto vulcanico.
Il calore che viene prodotto all'interno esercita una pressione uniforme su tutta la crosta, e dove è più sottile cederebbe, facendo fuoriuscire il magma, causando la nascita dei vulcani.
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La febbre dei vulcani diventa energia

La febbre dei vulcani diventa energia

Il vulcano diventa risorsa. Dal calore del sottosuolo nuovi flussi di energia alternativa pulita. Quanto basta per alimentare serre di fiori e ortaggi pregiati, impianti di acquacoltura, piccoli condomini familiari.
di Franco Mancusi

Nell'area vulcanica napoletana e in Toscana gli epicentri dell'attenzione. I primi progetti sperimentali, sul finire degli anni Sessanta. Ora si passa alla fase operativa, grazie a un piano affidato ai ricercatori dell'Osservatorio Vesuviano, sezione dell'Istituto nazionale di Geofisica. Si comincerà dai Campi Flegrei, successivamente sarà la volta del versante vesuviano. Dalla febbre dei vulcani il doppio obiettivo di migliorare i servizi di sorveglianza del territorio e sviluppare i primi interventi di geotermia. Scavando un pozzo nel cuore del golfo flegreo sarà possibile misurare le temperature del sottosuolo e procedere ad un censimento preliminare del potenziale energetico in gioco. Già effettuati sondaggi magnetici, elettrici, gravimetrici nell'area del bradisismo. I dati comunicati nel corso di un seminario nella sede dell'Osservatorio. Presto partiranno i lavori per la perforazione di un pozzo lungo quattro chilometri, dalla costa di Bagnoli proiettato verso il golfo di Pozzuoli, epicentro dei fenomeni di bradisismo. «I dati che ci proponiamo di raccogliere saranno preziosi per potenziare sempre più i sistemi di sorveglianza geofisica nelle zone a più alto rischio vulcanico e sismico - spiega il professore Giuseppe De Natale, coordinatore del "team" interdisciplinare che cura il progetto - Nello stesso tempo, però, i risultati potranno assicurare una spinta decisiva nel campo della ricerca geotermica, di enorme interesse soprattutto per quanto riguarda le risorse del territorio flegreo». Una soluzione almeno parziale dei nostri problemi energetici, dunque, potrebbe arrivare dalla febbre dei vulcani. Per la particolare dinamica, caratterizzata da continui e lenti movimenti del suolo, i Campi Flegrei, al pari di aree molto note come Yellowstone, Santorini, le Galapagos, sono caratterizzati da un tipo particolare di vulcanismo, che può generare le eruzioni più esplosive in assoluto. Il progetto Campi Flegrei Deep Drilling Project, varato due mesi fa, coinvolge i più importanti Istituti di ricerca internazionali. «Dovranno essere approfondite - continua De Natale - le dinamiche dei sistemi acquiferi flegrei, che determinano le proprietà delle rocce profonde ed il campo delle temperature». In particolare, si studierà la possibilità di sfruttare i cosiddetti «fluidi supercritici», cioè a temperatura più alta, in grado di generare il maggiore rendimento energetico per la costruzione di centrali geotermiche ad altissima potenza. Negli anni Sessanta e Settanta, come accennato, fu avviata una campagna, sperimentale, di ricerca nei Campi Flegrei, scavando un pozzo nella zona di San Vito, ai confini fra Pozzuoli e l'area termale di Lucrino. Obiettivo del piano, condotto dai tecnici dell'Agip e dell'Enel, la possibilità di localizzare fluidi ad altissima temperatura, per alimentare piccoli impianti di riscaldamento industriale per serre agricole, vasche di acquicoltura, villette residenziali. Non mancarono i risultati: le trivelle toccarono, infatti, quota 400 gradi di temperatura al di sotto delle falde termali. Poi, però, le difficoltà finanziarie raffreddarono l'impresa. Gli impianti furono bloccati e progressivamente smantellati. Ora si dovrebbe ricominciare daccapo. Con prospettive speriamo più concrete di trasformazione delle prospettive naturali in energia pulita alternativa del terzo millennio.

Fonte: Il Mattino di Napoli  del 03/12/2009
Energia Geotermica dai vulcani: il Leader è l’Indo...

Energia Geotermica dai vulcani: il Leader è l’Indonesia

Un ambizioso progetto per dare un taglio netto alle emissioni di gas ad effetto sera
 
Secondo le stime effettuate l’arcipelago indiano, situato nel Pacifico, contiene il 40% del potenziale di energia geotermica dell’intero globo. Fino ad oggi solo una piccola percentuale di questo grosso potenziale è stata sfruttata; pertanto il governo locale cerca investitori privati e partner come il Giappone e gli Stati Uniti, così da accedere al grande potere nascosto nel sottosuolo. A questo proposito, l’Indonesia ha lanciato un ambizioso piano per attingere all’energia geotermica dei vulcani della zona: in questo modo darebbe un taglio netto alle emissioni di gas ad effetto serra e diverrebbe il leader mondiale nel settore di questa particolare energia pulita. Il responsabile dell’associazione Geotermica indonesiana, Surya Darma, ha affermato: “L’obiettivo del governo è quello di incrementare la capacità produttiva di ulteriori 4.000 megawatt, così da superare, entro il 2014, gli attuali 1.189 mw; un obiettivo davvero impegnativo“. Uno dei maggiori ostacoli è il costo: allestire un impianto geotermico costa circa il doppio della costruzione di una centrale energetica tradizionale.
La difficoltà è solo iniziale: una volta avviato l’impianto, questo potrebbe convertire energia termica in elettricità con bassissimi costi. La centrale geotermica costruita nel 1982 in Kamojang, Java, ne è un esempio: ha pochissime spese, è decisamente più economica e meno inquinante rispetto alla tradiziona centrale elettrica a carbone. Secondo un’accurata analisi, occorrerebbero circa 12 miliardi di dollari per incrementare la produzione di energia di 4.000 MW. I tempi di allestimento sono di circa 4 anni, il primo anno sarebbe impiegato per le esplorazioni del territorio, e dopo circa 2 anni, necessari per la costruzione dell’impianto dovranno seguire dei test di funzionamento. Sebbene l’Indonesia sia dotata di un grosso potenziale, non è abbastanza sviluppata economicamente e tecnologicamente per sfruttare le sue peculiari risorse, mentre paesi meno dotati come gli Stati Uniti e le Filippine sono di gran lunga più avanzati.